Dalle opere di Maria Savino emergono chiaramente tracce informali, da lei rivisitate in modo del tutto originale e creativo. A ciò si aggiunge una notevole capacità tecnica che si esprime nell’uso disinvolto della materia. L’artista fa spesso riferimento a tematiche sociali, legate anche all’ecologia, e denuncia il consumismo. Ciò evidenzia forte coraggio civico e grandi qualità etiche. Caratteristiche inusuali e rare, specialmente oggi. Nell’attuale periodo storico, infatti, dilaga superficialità e pressapochismo. Nella sua produzione artistica è evidente anche l’elemento mistico di ispirazione religiosa. Una presenza che stimola il pensiero alla riflessione interiore. Ritengo che Maria Savino possa essere annoverata tra gli artisti contemporanei più innovativi: la sua ricerca stilistica è in continua evoluzione e in costante trasformismo. Per questo sono convinto che in futuro la sua arte ci riserverà sorprese positive.

Pensieri

Gillo Dorfles

Maria Savino ha dipinto muri. Che si chiudono di fronte a noi che guardiamo. Si serrano in una loro assenza apparente di prospettive, di cieli anche solo immaginati. Ha dipinto muri con la lenticolare precisione di un monaco tedesco intento al suo libro delle ore. Ma vi ha immesso il senso di una materia che si staglia e mai si frammenta. Data dal senso di una potenza che si apre di fronte a noi e ci consegna, tutta intera, la pienezza dell’azione del vivere. Questi muri, di tutti i colori del mondo, sono impastati di giorni, di accadimenti, di speranze. Maria Savino usa la pittura come un diario, fogli di una confessione che non teme di dichiarare. Ha l’informale più materico come suo riferimento stilistico, ma poi vi incide il non detto e il non dicibile dell’esistenza. Crede alla pittura come a un fatto non scansabile, mai. Crede alla pittura come a una dichiarazione d’amore, strumento per dare voce a un racconto. Perché cosa sono, se non racconti dalla cifra infuocata e ribollente, questi muri in apparente stato di sospensione? Cosa sono se non l’attesa dell’evento, il suo essere previsto? Muri come memorie del passato, intromissione nel presente e previsione del futuro. Lavagne sulle quali campeggia, occhieggiando, una parola chiave e il mondo in questo modo si presenta a noi, ci chiede una condivisione. Lavagne sulle quali si incide tutto di noi, lo spazio come il tempo, i luoghi e i volti. Lavagne che non riflettono, ma che trattengono nella materia, di cui Maria Savino fa un uso sapiente. Materia che apparentemente si nega nel punto invece di offrirsi. Materia che accoglie dentro se stessa come un grembo materno. Perché questa funzione del femminile è pienamente detta in questa pittura. Tutta accogliente, tutta includente. La materia che prima ribolliva in una sua primordiale sostanza, adesso si placa in ampie fessure che comunque, con tutta la forza della previsione, annunciano luce, limpidezza dell’aria invisibile, orizzonti implacabili e dolcissimi. La materia di cui è composta questa pittura prende, nel suo essere, tutto il tempo, tutta l’apparizione di quel tempo. Questo è infine il miracolo completamente sotteso alla trama del lavoro di Maria Savino: dipingere il tempo, la sua distensione, il suo comparire misterioso, il suo dilagare nella vita e nell’universo, dipingere tutto questo mentre si dipinge un muro che apparentemente tutto serra. Materia chiusa che ha segretamente in sé orizzonti.

Pareti e cieli

Marco Goldin

E, fra i più giovani, Maria Savino che, dopo l’esperienza della Biennale, ha pensato di rendere omaggio a un grande umbro: Alberto Burri. E ha preparato una serie di “neri”, luminosi e splendenti, accesi da intarsi gialli e d’oro che rendono viva la materia, in un esercizio di assoluto formalismo, nello spirito dei maestri del gotico internazionale, che assorbivano tutta la luce nel fondo d’oro. La ricerca artistica della Savino si fa così mistica, in una attrazione dello sguardo verso un buio che manda luce, come nell’esperienza descritta da Juan de la Cruz. La Savino, in tal modo, tiene insieme la pittura e l’arte concettuale, perseguendo un constante rigore formale in tempi di disordine e confusione. Anche negli intarsi policromi si riaffaccia la lezione dell’ultimo Burri, reinterpretato in chiave lirica, con delicatezze cromatiche nuove. Ancora esercizi intorno a un modulo definito, in un ritmo iterativo come quello delle preghiere.

I neri di Maria Savino

Vittorio Sgarbi

Un giorno, lontano nel tempo, ho visto un mulo. Era la prima volta che vedevo un mulo, era la mia prima volta con un mulo e non nel senso di un rapporto sessuale contronatura, se il mulo ci avesse provato lo avrei preso a calci in mulo. Se ci avessi provato Io, cosa ancor più contronatura, mi sarei, giustamente meritato di essere preso a calci dal mulo, pratica che pare appartenga alla natura del mulo. Io e il mulo ci siamo reciprocamente ignorati. L’incontro non è stato dei più importanti per la mia formazione artistica. Un giorno lontano nel tempo, ho visto un muro e le cose sono andate diversamente. Il muro è polifonico come ci insegnano i Pink Floyd, è policlinico, come abbiamo imparato prendendo a testate muraglie cinesi quando praticavo il Kung-Fu. In realtà si dice Kong fo ma per il pubblico occidentale Kung-Fu “suonava” più virile. Ho pianto sul muro del pianto, ho limonato con una miss sul muretto di Alassio, ho stonato col muro del suono, ho fatto pipì sul muro di una stanza di albergo, perchè non trovavo la chiave elettronica per illuminare il sentiero per la liberatoria toilette, ho aggirato il muro di gomma, che mi separava dai riconoscimenti di cittadinanza artistica, ho scaraventato un cellulare contro il muro perchè ”il cliente da lei chiamato non è momentaneamente raggiungibile”. Io odio i muri, preferisco i muli, o le mule di Trieste, però faccio delle eccezioni quando incappo nei muri di Maria Savino, perchè sono tele che umiliano la supponenza del muro. Sono opere aperte, in cui il muro ospita, generosamente, parole chiave, senza chiave elettronica.Mi piace il colore cangiante e ad un tempo definitivo di Mutamento. Mi piace il grigio violabile di Determinazione, mi piacciono la Passione, la Trasformazione. Mi piace Confronto, mi piace Empatia e le sue parole sorelle che non elenco perchè è come se ognuna di loro fosse una sirena della Di-speranza. Attenzione: non le sirene che cantano per farti naufragare. No! Queste sono le sirene che invitano a superare qualsiasi muro, per accedere a un luogo illuminato di umanità, in agguato dietro la facciata: il primo agguato salvifico nella storia dell’arte.

Odio i muri

Andrea Pinketts

Sfogliando il catalogo della mostra Spoleto Arte 2012, a cura di Vittorio Sgarbi, tra i dipinti pubblicati risaltano numerose opere dell’artista Maria Savino datate tra il 2009 e il 2012, che riguardano proprio la produzione di quest’ultimo triennio; in esse l’artista si muove a suo agio tra la pittura informale pregna di materia, grumi, lievitazioni e composizioni giocate sulla morbidezza del segno con intarsi di colore, come nei dipinti intitolati Confini 2012, Entropia 2011-12, Luce 2012, eseguiti con tecnica mista su tavola o tela, dove la pittrice predilige forme curvilinee che si inseriscono l’una nell’altra delimitandosi e potenziandosi vicendevolmente. Gillo Dorfles, sempre attento e puntuale nell’individuare nuovi talenti, nel commentare alcuni dei dipinti della Savino esposti a Spoleto afferma: ‘’Nelle sue opere vi è traccia dell’informale, da lei rivisto e collocato in una dimensione assolutamente personalizzata (…) le opere della Savino lasciano ampio spazio alla libera interpretazione che da sempre considero alla base di ogni espressione artistica e che perseguo anche nella mia produzione”. In questa mostra a Milano ricompaiono due significative opere del ciclo Stratificazioni 2012, in cui l’artista inserisce sulla tela in basso un elemento di contrasto, in una la fotografia di una bimba, nell’altra la copertina del volume de La Sacra Bibbia: dall’alto la materia scura e minacciosa si espande su gran parte della superficie, scendendo a coprire parzialmente la fotografia e il libro posti su fondi luminosi, quasi a voler cancellare come magma vulcanico ogni loro traccia, ma il volto della bimba che simboleggia l’innocenza, la purezza, la speranza è salvo così come è risparmiato il libro sacro che racchiude la sapienza umana in comunione con il Divino.In altre composizioni dominate solo apparentemente dal buio, dai titoli emblematici Di-speranza, la luce che squarcia le tenebre, rappresentata da strisce di giallo o di blu distese come sentieri luminosi da seguire, assurge a vera protagonista; le tonalità scure sembrano così illuminarsi pervase da una “luce” edificante. Sgarbi nel citare Juan de la Cruz ( Doctor Mysticus ), nel suo testo sulla Savino, certamente ha pensato alla poesia Noche oscura e all’opera poetica Subida del Monte Carmelo, in cui il mistico spagnolo, vissuto ai tempi della Riforma e della Controriforma, descrive il viaggio dell’anima dalla propria sede corporea verso l’unione con il Creatore. La Savino nel suo percorso artistico ha affrontato tematiche serie che affliggono il mondo contemporaneo: il consumismo sfrenato della nostra società occidentale in cui, come recita un detto dell’umorista scrittore Marcello Marchesi “il tutto non basta più”; la salvaguardia dell’ambiente con le ferite inflitte al pianeta Terra per biechi profitti economici; la decadenza del linguaggio e il nostro disinteresse nell’approfondire la conoscenza tra i popoli, malgrado le più avanzate e sofisticate tecnologie di comunicazione oggi disponibili. Ecco allora che le originali creazioni della Savino oltre che apprezzabili per il loro valore artistico vanno anche intese come moniti al nostro modo di agire, inducendoci a riflettere sulla complessità e sulle contraddizioni della vita contemporanea. In Parole inglobate 2012, riprende il tema dell’uso superficiale e ripetitivo delle parole nei messaggi quotidiani dei mass-media, parole svuotate e ripetute meccanicamente che hanno perso il loro intrinseco valore e significato espressivo degno di un vero e profondo dialogo umano: in questo dipinto il giardino, che rischia di essere sopraffatto dal magma, è un richiamo alla bellezza del vivere seguendo la natura in un’atmosfera di vera sincerità comunicativa. Nell’opera monocromatica Of the Wall 2012, Savino con la scritta “coesistenza”, che spicca su un muro nero, lancia un messaggio di solidarietà affinché i confini tra stati e nazioni non presuppongano avversità e chiusure mentali, bensì favoriscano una pacifica convivenza nel rispetto e nel positivo apporto reciproco. In Madre natura 2009, un dipinto informale di grande suggestione cromatica che si riallaccia alla tradizione pittorica lombarda e in particolare alla pittura denominata Naturalismo Padano, di cui Francesco Arcangeli negli anni Cinquanta fu il vero padre intellettuale, la pittrice evidenzia il desiderio, la necessità di recuperare il rapporto fisico con la natura, con la vitalità della terra che sempre si rinnova nella sua feconda forza generativa: “Natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento”. La pittura di Maria Savino nei suoi contrasti tra tenebre e luce induce a meditare, ma con conforto invita anche a sperare, richiamando alla mente il buio a cui fa riferimento il sonetto di Michelangelo “Perché Febo non torce e non distende”, che termina con il memorabile verso “C’una lucciola sol gli può far guerra”.

Catturare la luce

Luigi Sansone

Ho avuto modo di scorgere i primi lavori di Maria Savino una quindicina di anni fa, appesi alle pareti nel corridoio di uno studio professionale in Brianza. Due opere pittoriche di dimensioni contenute che destarono la mia curiosità per la loro densità materica e la cromia accesa, che mi ricordarono in un primo momento certi lavori di Carlo Mattioli legati al ciclo delle Acque morte. Ho poi rivisto le sue opere a distanza di vari anni, in occasione di un ricevimento dove era stata allestita una mostra collettiva tutta al femminile, artiste di diversa formazione . Un incontro interessante per la freschezza delle opere, alcune delle quali sicuramente ancora acerbe e in fase riflessiva rispetto alle ricerche avviate dalle loro autrici. In tale contesto, ho avuto modo di rivedere i dipinti di Maria, constatando l’evoluzione artistica compiuta in questo lasso di tempo. Notai pure il divario esistente tra la sua espressione pittorica e quella delle altre partecipanti, che mi spinse a invitare la Savino a un’esposizione organizzata al centro “Materima” di Casalbeltrame, una mostra che la vedeva protagonista insieme a un altro pittore e a un fotografo. L’evento riscosse un particolare consenso da parte del pubblico e della critica. Ciò che posso ora affermare è che ogni autore ha bisogno di tempo e di “compagni” ideali per intraprendere con cognizione di causa il viaggio attraverso l’arte. Compagni di avventura quali possono essere critici ed esperti, letterati e poeti, pittori e scultori storici, da assimilare come esempi e referenti per la poetica prescelta, per poi “superarli” grazie alla personale cifra stilistica. Sono sicuro che Maria Savino troverà la forza, il temperamento e l’audacia necessari per portare a compimento tale processo, il solo a permettere di conoscersi conoscendo a fondo la propria arte.

L’arte di Maria Savino

Nicola Loi